Spesso si sente parlare di soft skills, ma non tutti sanno perché sono molto importanti nel mondo del lavoro.
Fino alla seconda metà del secolo scorso, non esisteva una definizione di soft skills. Questo termine è stato coniato in ambito militare negli Stati Uniti intorno agli anni ’70, per definire le competenze di natura non manuale, rispetto alle attività richieste per azionare macchinari o per utilizzare armi.
In seguito il concetto di soft skills si è diffuso anche nell’ambiente di lavoro, in cui inizialmente veniva inteso come capacità di attenersi alle direttive per completare i compiti.
Nel corso del tempo, il quadro è cambiato, includendo un numero sempre maggiore di capacità, e oggi le soft skills sono molto importanti per le aziende.
Il Collins English Dictionary definisce le soft skills come “qualità ricercate per alcune forme di impiego che non dipendono da competenze acquisite: includono il buon senso, la capacità di trattare con le persone e un atteggiamento positivo e flessibile”.
Le soft skills sono capacità complementari alle hard skills – le competenze professionali specifiche utili a svolgere uno specifico ruolo – e ne migliorano l’efficacia e la qualità.
Una soft skill fra le più importanti è l’intelligenza emotiva, in quanto costituisce una competenza fondamentale per integrare il quadro delle competenze tecniche e il QI tradizionale.
Lo psicologo americano Abraham Maslow è stato il primo a parlare di “forza emotiva” negli anni ’50, mentre il termine “intelligenza emotiva” sembra essere apparso per la prima volta in un articolo del 1964 di Michael Beldoch, psicologo clinico del Weill Cornell Medical College.
Il concetto di intelligenza emotiva è stato reso popolare dallo psicologo e giornalista specializzato nelle scienze comportamentali Daniel Goleman con il suo libro del 1995 “Emotional Intelligence”.
Questo autore ha descritto l’intelligenza emotiva come la capacità di interpretare, comprendere e gestire le proprie emozioni e quelle delle persone intorno a noi.
Ciò consente di rimanere calmi sotto pressione, aiuta gli altri a sentirsi a proprio agio e permette di capire come il proprio comportamento possa avere un impatto sulla situazione.
Il rapporto Future of Jobs del World Economic Forum ha indicato come entro il 2025 la risoluzione di problemi complessi, il pensiero critico, la creatività, la gestione delle persone e l’intelligenza emotiva saranno tra le competenze più importanti richieste sul posto di lavoro.
Secondo Goleman il QE (quoziente intelligenza emotiva) potrebbe essere più importante del QI (quoziente intellettivo), poiché quest’ultimo offre una visione limitata dell’intelligenza, dato che il QI dipende dai geni e non può essere cambiato dall’esperienza.
Goleman invece sostiene che la somma delle facoltà che sono definite con il termine “intelligenza emotiva”, come l’autocontrollo, l’entusiasmo e la perseveranza, la capacità di auto-motivarsi siano molto importanti per sfruttare il proprio talento personale.
La sua tesi è avvalorata anche dal fatto che spesso le persone con elevato QI falliscono i loro obiettivi, mentre quelle con un QI modesto ma con alta intelligenza emotiva riescono ad avere successo.
La selezione, la formazione e il supporto di un team dotato di un alto QE offre vantaggi reali e misurabili sia per i datori di lavoro che per i dipendenti, come ad esempio:
Questo potrebbe creare tensione e disorientamento: chi riesce a gestire le proprie emozioni migliora la propria efficacia, ed è in grado di adattarsi più velocemente all’evolversi delle situazioni.
In un mondo del lavoro sempre più interconnesso e multiculturale, l’intelligenza emotiva svolge un ruolo molto importante nell’aiutare le persone a comprendersi efficacemente, imparare a esprimere le proprie opinioni e ad adattarsi alle differenze individuali, migliorando il team e le sue prestazioni.
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